Giorgia Tamantini, l’eccellenza del saper fare e un sogno: il Museo delle Macchine di Santa Rosa

Articolo di Maria Letizia Casciani, pubblicato sul giornale TusciaUp il 2 novembre 2020

Quel ministro del Lavoro che, anni fa, definì “choosy”, schizzinosi, i giovani italiani in cerca di lavoro, non conosceva Giorgia Tamantini. Altrimenti avrebbe tenuto per sé quell’espressione improvvida. Giorgia è una giovane architetto, profondamente innamorata del suo lavoro, ma anche curiosa rispetto a molte altre cose, desiderosa di fare esperienze, di diversificare il suo modo di lavorare. Da sempre. Imprevedibile e straordinaria versatilità di ingegno che trasferisce nei suoi progetti e nelle sue realizzazioni. Il gusto, l’armonia, lo stile raffinato sono alla base delle sue creazioni.
Disegna gioielli, realizza, dopo averli ideati, capi in maglieria con filati particolari, dipinge quadri, si occupa di progettazione di interni e, per rilassarsi dopo tante attività, pratica yoga aereo acrobatico e d’estate si cimenta con le cime delle Dolomiti. Ha da poco presentato il progetto per il Museo delle Macchine di Santa Rosa, un luogo dentro il quale “le Macchine storiche danzano ammirate dai visitatori lungo un percorso che consente di scoprirle in ogni dettaglio, dalla base alla sommità.” Non ha ancora trent’anni, ma dimostra di avere le idee chiare su ciò che intende fare della sua vita. E’ di sicuro un riferimento positivo e stimolante per i suoi coetanei. L’abbiamo incontrata e ci ha parlato di se.

Essere capaci di adattarsi alle varie sfide della vita; saper essere tante cose insieme… Quanti piani è riuscita a mettere in gioco finora tenendo presente anche il “piano Z”, la sfida che il Covid-19 rappresenta oggi per tutti noi?
In realtà, non ho mai pensato troppo a quali e quanti “piani” potessi affrontare, ho sempre agito in modo istintivo, tenendo i piedi per terra, fidandomi per lo più delle sensazioni. Sento una sorta di spinta interiore che si mostra chiara nel momento della scelta. Ho sempre avuto come obiettivo di realizzare ciò che mi appassiona e che può rendermi felice ed appagata, quindi mi sono rimboccata le maniche e ho iniziato a lavorare per provare a realizzarlo, non senza sacrifici. Posso ritenermi una persona fortunata, ma allo stesso tempo so che per raggiungere dei traguardi e realizzare i propri desideri, non si può pensare di percorrere la strada più semplice. Ho imparato a diffidare di ciò che appare troppo immediato: non si rivela mai come il percorso giusto. Tornando ai “piani”, la maggior parte di essi riguardano piccoli e grandi “sogni nel cassetto” che sono lì da diverso tempo e che ora pian piano cerco di mettere in pratica; il “piano Z” invece, non ricordo di averlo mai messo in nessun cassetto! E’ scontato dire che il Covid19 ci ha presi alla sprovvista, d’altra parte non ho voluto perdere tempo e ho deciso di sfruttare questa strana situazione per creare qualcosa di nuovo: oltre a regalarmi del tempo da dedicare alla creatività (la mia “linfa vitale”) il lockdown mi ha dato la spinta per ragionare sulla mia figura professionale e per iniziare a costruire una nuova immagine da presentare. In quei mesi io ed il mio team familiare abbiamo creato il marchio “Seset” ed abbiamo dato vita anche ad un sito internet che ha questo nome.

Viterbo, vista con gli occhi di una ragazza che ha iniziato a costruire qui i suoi sogni già da adolescente, fin dagli anni della scuola. Quanto e come sono cambiati quei suoi sogni?
Se penso ai sogni che avevo dieci, quindici anni fa, e li confronto con quelli attuali, non trovo molte differenze. Ho sempre avuto le idee piuttosto chiare, di conseguenza mi sono impegnata lungo il percorso che sentivo di seguire. Mi capita spesso di ricordare il mio primo giorno in prima media: la professoressa chiese a ciascuno di noi che cosa avremmo voluto fare da grandi, ed io risposi: “l’architetto”. Questo spiega molte cose. Cosa significa per il suo essere architetto coniugare Architettura, Moda e Design. senza sovrapporre il suo gusto personale a quello di chi in quegli spazi dovrà realmente abitare per anni ed anni? Questa è una costante sfida per ogni architetto. Per prima cosa bisogna capire con chi si ha a che fare. Ogni persona che decide di affidarsi ad un tecnico, ha delle precise intenzioni e può usare un approccio diverso: c’è chi ha le idee molto chiare e chiede la consulenza per avere delle conferme, e chi invece non vuole pensare a nulla e vedere il lavoro realizzato e concluso. (Dovrebbero inserire degli esami di psicologia nel corso di laurea!). Scherzi a parte, la vera sfida per l’architetto è quella di riuscire a guidare il committente senza sopraffarlo, tenendo sempre in mente che lo spazio che si sta progettando non è un esercizio di stile, ma un luogo che dovrà generare benessere nelle persone che andranno a vivere lì. L’estetica ci attrae, è ovvio, ma è troppo facile (e qui ritorno ai miei principi) creare qualcosa che sia soltanto bello; e poi: bello per chi? Per me o per il committente? Questo caratterizza l’architettura: come ci insegna il buon Vitruvio, non si parla solo di Venustas (bellezza), ma anche di Firmitas (stabilità) ed Utilitas (utilità).

Lei pratica da tempo l’alpinismo, una disciplina segnata da tenacia, costanza da coraggio e fatica… In quale ordine li posiziona?
Per ora mi fermo alle vie ferrate, non ho ancora avuto il coraggio di provare l’alpinismo vero e proprio. Ho però scoperto da alcuni anni l’acrobatica aerea che mi sta dando molte soddisfazioni. Il coraggio è forse il primo della lista: se non si ha coraggio, non si fanno le cose (e non è che lo si trovi con grande facilità). Collocherei la tenacia al secondo posto, perché una volta trovato il coraggio, bisogna avere la forza e la convinzione, per affrontare le sfide. Al terzo posto metterei lo sforzo: una volta che si è in ballo, bisogna ballare, e non sempre i passi arrivano facilmente. Infine c’è la costanza: non perché essa sia meno importante, ma perché rappresenta la spinta che consente di portare avanti ciò che si è iniziato. Alla costanza aggiungerei la forza di volontà, ma la collocherei al primo posto insieme al coraggio.

“La mia città (…) ha il cantuccio a me fatto”, dice Saba in una poesia.
Qual è l’angolo di Viterbo o della Tuscia dove ama rifugiarsi per pensare e raccogliere le idee, quando serve?
Non sono i luoghi del centro abitato a darmi rifugio. I luoghi che mi rigenerano e mi donano benessere sono il bosco e la campagna. Se ho bisogno di pensare, di trovare un po’ di pace, mi allontano dalla città e vado a godermi un tramonto in qualche campo, oppure cammino nella macchia di Tuscania o nel bosco dei Cimini. Vedere solo verde intorno e sentire soltanto i suoni della Natura è la cosa più bella che possa esistere. Probabilmente è per questo che amo così tanto la montagna, e non a caso mi chiamo Giorgia (“colei che coltiva la terra”).